Scrive un'amica:
Buongiorno a tutti e buona domenica! Non so se siete tutti al corrente che la nostra amica eritrea, Brhana, è finalmente riuscita a rientrare in Svizzera dopo essere stata bloccata in Etiopia per due mesi a causa della guerra. Era andata là per prendersi cura della madre malata e di un nipotino che doveva essere operato. Per due mesi ha dovuto proteggere se stessa ed il familiari, senza poter in alcun modo comunicare col mondobesterno perché il governo ha bloccato tutte le comunicazioni. È riuscita ad affidare la madre alle suore di Madre Teresa ed il nipotino sta bene. Lei è rientrata a Zurigo molto provata. Piange non appena comincia a raccontare. Ha un polso slogato a causa credo di una caduta mentre scappava dalla guerra rifuguandosu in montagna per 3 giorni senza cibo. Per darle un poco di respiro in queste prime settimane abbiamo organizzato una colletta. Elisabetta raccoglierà le offerte sul suo conto entro giovedì per fargliele avere nel weekend. Le comunicheremo i nomi di chi ha fatto l offerta senza indicare l'ammontare individuale. Con questo gesto vogliamo dimostrarle la nostra vicinanza. Io vedo la sua presenza come un dono grande del Signore, che quando ci chiama ad aiutarla ci fa fare memoria di quello che siamo, figli che pregano il Padre. Inoltre mi richiama costantemente a riconoscere le priorità nella vita quotidiana ed il distacco dai beni terreni. Passate parola per la colletta!
Il conto per il versamento:
Dopo alcuni giorni nelle montagne intorno ad Adigrat, Brhana è riuscita a tornare a Mekelle con mamma, nipoti e cognata.
Brhana ha dovuto andare ad Adis Abeba per rinnovare il visto due volte, una volta prima e una volta durante la guerra.
A Mekelle, un prte l'ha aiutata e ha potuto trovare un ricovero per la mamma prsso le Suore di Madre Teresa. In Svizzera non può entrare: è vecchia.
Un nipotino è stato operato, penso di un grosso calcolo renale, prima dell'inizio delle ostilità; l'altro nipotino che ha un brutto rachitismo, ha fatto ginnastica sta meglio.
Le suore salesiane di Mekelle e Adigrat hanno aiutato moltissimo questa famiglia. Qui sono con Brhana e la mamma
Etiopia. Strage in Tigrai: morti per difendere l’Arca dell’Alleanza
Neppure l’Arca dell’Alleanza è stata risparmiata dall’orrore della guerra del Tigrai, ancora tutto da svelare. Circa 750 persone sono state massacrate nella città santa di Axum, dove avrebbe abitato la regina di Saba. La quale secondo la leggenda avrebbe ricevuto da re Salomone e portato in Etiopia, l’Arca, tuttora, custodita da un monaco, in una cappella del tempio ortodosso dedicato a Maria di Sion, proprio nella piazza dell’obelisco. Secondo diverse ricostruzioni effettuate ascoltando i testimoni fuggiti verso sud, autori del massacro finora nell’ombra sarebbero le truppe federali etiopi e le milizie alleate della regione Amhara. I fedeli che si trovavano nella chiesa ortodossa dedicata a Maria di Sion sarebbero stati uccisi per difenderla.
Avrebbero udito i soldati Amhara, arcinemici dei tigrini, gridare che l’Arca doveva essere portata ad Addis Abeba. I soldati avrebbero ucciso senza pietà i dimostranti usciti dalla chiesa. Una delle tante stragi consumate in silenzio e senza colpevoli in una guerra combattuta anche con social, tv satellitari e fake news a causa del blackout comunicativo sulla regione provocato dal governo federale di Abiy Ahmed, Nobel per la pace del 2019, il giorno dell’inizio del conflitto, il 4 novembre scorso, e prolungato ben oltre il 27 novembre, giorno della presa da parte delle truppe federali del capoluogo Macallè.
La notizia è stata confermata da diversi testimoni. Confermato che anche uno dei luoghi sacri dell’islam etiope, la moschea Nejashi a Wukro, costruita dai compagni di Maometto, è stata colpita e danneggiata. Dal Sudan, dove 60mila i tigrini sono fuggiti dal conflitto nei campi profughi, arrivano conferme della lunga catena di orrori. Dai sequestri di massa, alle torture, agli stupri e agli omicidi etnici di civili. In rete è stata pubblicata una lista di 400 vittime tigrine ammazzate dagli etiopi.
Bombardati a novembre anche molti ospedali mentre la situazione umanitaria della regione settentrionale etiopica sta peggiorando. Non si conosce né il grado dei danni né soprattutto chi abbia colpito gli ospedali commettendo un crimine di guerra. Secondo Unocha ci sono 2,2 milioni di sfollati e la situazione resta «volatile».
Accanto a un miglioramento dell’accesso a cibo e acqua scarseggiano le medicine. Continua, inoltre, il saccheggio di aiuti umanitari in alcune zone. Per l’agenzia Onu finora solo 77mila persone a Macallé e 25mila nei due campi per rifugiati eritrei di Mai Ayni e Adi Harush hanno ricevuto aiuto. Ocha non è ancora potuta entrare negli altri due campi di Hitsats e Shimelba che secondo immagini satellitari trasmesse dall’agenzia Bloomberg sarebbero semidistrutti.
Come ha confermato anche il quotidiano britannico Telegraph, nonostante le ripetute smentite ufficiali anche con il segretario generale Onu Antonio Guterres, soldati eritrei si trovano nell’area e avrebbero ucciso molti connazionali rifugiati, rimpatriando a forza migliaia di giovani. L’esercito etiope ha ucciso giovedì scorso quattro alti funzionari del partito e ha arrestato nove membri dell’ex partito di governo della regione, tra i quali l’86enne Sebhat Nega, cofondatore e ideologo del Tplf, mostrato in televisione mentre veniva ammanettato e trasportato ad Addis Abeba. Ma oltre all’arresto del vecchio «Papà Sebhat» ex governatore, ha fatto scalpore il filmato trasmesso dalla agenzia ufficiale Ena che mostra due militari in uniforme dell’esercito eritreo, uno seduto e l’altro intento a filmare l’arresto.
È la terza prova, in una settimana, della partecipazione delle truppe del regime di Asmara. Che sono ora impegnate in intensi combattimenti nell’area nordoccidentale di Endebaguna contro il Tplf in un conflitto che doveva essere interno.
Scoppiato il 4 novembre scorso, il conflitto nel Tigrai tra l’esercito del governo centrale di Addis Abeba e i suoi alleati e le milizie regionali del Tplf non accenna a placarsi. Anche se il 27 novembre, dopo aver preso Macallè, il premier Abiy Ahmed ha dichiarato conclusa l’operazione di «polizia interna» contro i «criminali» del Tplf, i quali si sono dati alla guerriglia guidata dal leader Debretsion, governatore destituito della regione, del quale si sono perse le tracce. Resta tuttora sconosciuto il numero delle vittime militari e civili.