giovedì 30 giugno 2022

Risposta alla lettera del Card. Kevin Farrell del 10 giugno 2022 alla Fraternità di Comunione e Liberazione

Nel contesto delineato dal Convegno teologico promosso dalla Pontificia Università Lateranense il 20 giugno 2022 e intitolato L'identità dei Movimenti e delle Nuove Comunità (se ne possono seguire su Youtube le conclusioni) e l'articolo di Piero Coda su Movimenti ecclesiali e nuove comunità del 27 giugno 2022, abbiamo ricevuto la lettera che di seguito pubblichiamo, indirizzata al Cardinal Kevin Farrell, Prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita e in copia a Davide Prosperi, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione. Ai destinatari è stata inviata lo scorso 19 giugno. 

La lettera a cui questa si riferisce e a cui risponde, indirizzata dal Cardinale a Davide Prosperi il 10 giugno scorso, non sembra essere più disponibile sul sito di CL. La riproponiamo perciò in calce. 

Chi scrive, ci ha detto di aver preferito anonimizzare la sua lettera prima di inviarcela, da un lato per non dare in pasto alla rete le sue generalità, dall'altro per evitare una polarizzazione passionale, perché la questione di cui si tratta esige invece grandissima sobrietà. 

Speriamo a nostra volta che possa svilupparsi un vero dialogo, il cui presupposto inderogabile è il riconoscimento della libertà dell'interlocutore.

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Sua Eminenza, Card. Kevin Farrell

Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita

Palazzo San Calisto

00120 Città del Vaticano

 

19.6.2022

 

A Sua Eminenza il Card. Kevin Farrell, Prefetto Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita

Copia per conoscenza al Prof. Davide Prosperi, Presidente Fraternità di Comunione e Liberazione



Eminenza,

Le scrivo in seguito alla Sua lettera del 10.6.2022 al Prof. Davide Prosperi, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, nella quale lo ha pregato di portarla a conoscenza dei membri della Fraternità. In particolare, mi riferisco a quanto in essa Lei scrive a proposito di “una dottrina della successione del Carisma” di cui afferma che “nell’ultimo decennio” sarebbe stata sostenuta “da chi era responsabile della conduzione”. Questa sarebbe una dottrina “gravemente contraria agli insegnamenti della Chiesa”. La dottrina in questione è censurata nella Sua lettera con queste parole: “I Moderatori e i Presidenti dei movimenti ecclesiali non ricevono per successione personale il Carisma del fondatore e non ne sono dunque, gli unici interpreti.”

Per la situazione in cui, dopo il Decreto da Lei emanato lo scorso 11.6.2021, la Fraternità e il Movimento tutto si trovano, mi sono posta la domanda su cosa sia il Carisma e come venga trasmesso. Del tutto naturalmente, mi sono rivolta agli scritti di Eugenio Corecco, che è stato un grande canonista e una persona molto significativa per la mia vita di fede. Quello che ho rinvenuto nei suoi scritti mi ha molto edificato, perché corrisponde perfettamente alla mia esperienza e chiarisce in profondità la presente situazione. Il reale significato di quello che ho letto in Corecco mi è apparso tuttavia in tutta la sua chiarezza solo dopo aver letto la Sua lettera al Prof. Prosperi.

Corecco ha dedicato molte energie a chiarire la situazione canonica dei Movimenti ecclesiali sorti soprattutto dopo il Concilio Vaticano II. Le sue riflessioni sono raccolte in particolare nei due volumi dal titolo Ius et Communio, editi da Graziano Borgonovo e Arturo Cattaneo nel 1997[1]. La Sezione IV si intitola Istituzione e Carisma ed è a questa che mi riferirò nella riflessione che Le sottopongo.

Un fatto fondamentale, di cui Eugenio Corecco – che era consultore per la revisione del Codice del 1983 – testimonia per esperienza diretta, è che il termine “Carisma” è stato espunto dal testo definitivo, poi promulgato. Le ragioni e gli esiti di questa formulazione del diritto della Chiesa sono identificate da Eugenio Corecco come segue:

Cedendo all’obiezione ricorrente, secondo cui il Carisma non sarebbe apprezzabile dal profilo giuridico, il CIC si è sottratto all’incombenza di penetrare fino al cuore della struttura costituzionale della Chiesa affrontando il problema del Carisma. In effetti il fedele non è costituito solo dalla sua struttura sacramentale battesimale, grazie alla quale è investito del sacerdozio comune e del «sensus fidei», ma anche dalla possibilità di diventare soggetto titolare di un Carisma. Senza questa potenziale dimensione carismatica il fedele (e di conseguenza tutto il Popolo di Dio) rimane gravemente mortificato nella sua identità ecclesiale e giuridica.”

Il Concilio Vaticano II aveva disegnato uno spazio in cui si esercitasse la responsabilità anche giuridica dei fedeli nei confronti della propria appartenenza alla Chiesa. Ebbene, proprio questo nel Codice del 1983 venne smussato con espressioni che, secondo Eugenio Corecco, a volte sono anche molto lontane dall’intenzione dei Padri conciliari:

Il Vaticano II, non esita a riconoscere tra i diritti principali dei fedeli, quello di esercitare i loro Carismi (AA 3, 4). Non mancano evidentemente nel CIC accenni alla presenza dello Spirito Santo nella Chiesa. Così, nel can. 879 a proposito del sacramento della confermazione; nel can. 369 come forza aggregante della Chiesa particolare; nel can. 375 § 1 come elemento costitutivo della successione apostolica, o nel can. 747 § 1 in relazione con l’assistenza al magistero della Chiesa. Un chiaro riferimento ai ‘doni dello Spirito Santo’ appare nella normativa sugli Istituti di Vita Consacrata (can. 573-746), ma bisogna tener conto del fatto che questa espressione (can. 605) assieme ad altre, come «donationes» (can. 577), oppure «patrimonium instituti» (can. 631 § 1), con ogni evidenza ritenute dal legislatore più anodine se non addirittura totalmente diverse, sono state di proposito scelte per sostituire il termine ‘Carisma’ inesorabilmente stralciato dal CIC[2].

Corecco parla di “imbarazzo” da parte del Legislatore, ma credo sia possibile che gli estensori del Codice abbiano scelto di non menzionare il Carisma piuttosto per prudenza, perché la riflessione teologica sulla natura di questi doni dello Spirito, che così improvvisamente avevano investito la Chiesa, non era allora ancora matura. Oggi sappiamo che, per i malintesi in cui troviamo avviluppati, fu una prudenza senz’altro eccessiva. La prudenza riguarda l’accettazione di una dottrina che invece il Concilio Vaticano II ha insegnato con chiarezza. Corecco scriveva:

il Vaticano II, come abbiamo già avuto modo di ricordare, non esita a riconoscere fra i diritti principali dei fedeli quello di esercitare i Carismi (AA 3, 4). Nel CIC, invece, pur non mancando accenni allo Spirito Santo nella Chiesa[3], è stato inopinatamente stralciato il termine ‘Carisma’, che appariva ancora ben sette volte nello Schema Preparatorio del 1982. In quello Schema, tuttavia, i Carismi erano riservati esclusivamente ai membri degli Istituti di Vita Consacrata, contrariamente al Concilio Vaticano II, dove i Carismi sono sempre attribuiti a tutti i fedeli in quanto tali. L’imbarazzo del legislatore ecclesiastico di fronte alla realtà del Carisma è perciò doppiamente evidente[4].”

Dunque, nel Codice ciò che oggi è in discussione, la trasmissione legittima di un “Carisma”, non è stata regolamentata e perciò una “dottrina gravemente contraria agli insegnamenti della Chiesa” in riferimento alla legittimità della sua trasmissione non può riferirsi al diritto che la Chiesa ha adottato nel 1983.

Ma molto più significative, a mio sommesso avviso, sono le ragioni da cui Eugenio Corecco si è fatto guidare per giungere a queste conclusioni. Si tratta della natura della Chiesa, che la secolarizzazione ha costretto a ripensare dal punto di vista teologico. Le ragioni dell’opposizione fra “Carisma” e “Istituzione” sono infatti di natura storica. Le contraddizioni che le hanno dato origine sono sempre derivate da un’Istituzione non all’altezza del suo compito, e non invece dal Carisma, che per la sua stessa natura “unisce e non divide”. L’analisi di Corecco è significativa:

Nella sua conferenza di giovedì mattina Mons. Lucas Moreira Neves[5], ha fatto a questo proposito un’osservazione molto interessante, quando ha affermato che la storia della Chiesa è stata segnata dalla costante tensione esistente tra i chierici e i laici. In realtà il Carisma, per sua natura e vocazione, non genera nella Chiesa contraddizioni o antinomie. Le rotture, infatti, sono avvenute tra chierici e laici, cioè tra i due poli dell’Istituzione. Se l’antinomia è apparsa e, in quanto tale, è stata messa a tema prevalentemente come contrapposizione tra Carisma e Istituzione, è perché il presupposto tacitamente sotteso, e non sufficientemente verificato, era che il Carisma si manifestasse solo, o quasi esclusivamente, tra i fedeli, intesi non tanto nel senso teologico dato loro dal Vaticano II, quanto nel senso sociologico di elemento “base” della Chiesa. In realtà la Riforma protestante, in cui sono sfociate le istanze dei movimenti spiritualistici della Chiesa antica e del Medioevo, ha contrapposto il sacerdozio comune dei laici al sacerdozio ministeriale, credendo di contrapporre il Carisma all’Istituzione. Ha contrapposto, fino a provocarne la rottura, un polo dell’Istituzione all’altro: quello del laicato sottovalutato soprattutto nel Medioevo – che è stata un’epoca di forte clericalizzazione della Chiesa – e quello, da sempre egemone, della gerarchia. Da questo punto di vista il Concilio Vaticano II, ribadendo che il Carisma è dato ai “fedeli di ogni ordine” dallo Spirito Santo[6], e perciò ai chierici, religiosi e laici, è stato estremamente liberante. Ciò significa che il Carisma, come insegna la storia della Chiesa, può contestare o provocare l’Istituzione, sia quando è dato, come dono dello Spirito Santo, al sacerdozio ministeriale, come nel Papa attuale [Corecco intende il papa allora regnante, san Giovanni Paolo II], sia quando è fatto emergere nel sacerdozio comune. Il Carisma è sempre dato all’interno della costituzione della Chiesa, nella sua bipolarità di sacerdozio comune e ministeriale. Il problema strutturale della Chiesa non è perciò quello di idealizzare l’unità tra il Carisma e l’Istituzione, ma l’unità tra il sacerdozio comune e quello ministeriale. La prova di questo fatto è la presenza nella Chiesa dello «status perfectionis», cioè dei Consigli evangelici, che in quanto rappresenta una delle forme di espressione dell’elemento carismatico, per altro sempre presente nella Chiesa, non ha origine né nel sacerdozio comune, né in quello ministeriale, intesi alternativamente, ma nell’uno e nell’altro.

Corecco sottolinea che il sacerdozio ministeriale dei chierici e quello comune dei laici hanno origine nell’unico sacerdozio di Cristo:

 “Che il sacerdozio comune di tutti i fedeli non consista in una partecipazione al sacerdozio ministeriale in quanto tale, ma in una diretta partecipazione al sacerdozio di Cristo, è evidenziato dal fatto che il sacramento dell’ordine può essere conferito solo dopo la ricezione del battesimo[7], dichiarato dal Vaticano II «ianua» degli altri sacramenti[8].

Quest’ultimo punto è stato sempre carissimo a don Giussani, che ci ha insegnato come tutta la vita sia un’offerta, e particolarmente il lavoro, perché tutta la vita è lavoro, a imitazione di Gesù, che di sé disse: “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero.” (Gv 5,17). Il sacerdozio che deriva dal battesimo rende tutta la vita un’offerta, fatta insieme a quella di Cristo. Don Giussani non ha mai però, per quel che mi ricordo, citato il versetto successivo, che dice: “Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.”. L’offerta è intesa fino all’effusione del sangue: riguarda davvero tutta la vita.

La natura della Chiesa non la esenta da un dramma storico, come presentemente sperimentiamo, ma occorre identificare con chiarezza di cosa si tratta. Corecco afferma:

Anche la dimensione carismatica appartiene alla costituzione o alla essenza della Chiesa, ma, in quanto tale, è diversa e si distingue dall’Istituzione. Per cui è esatto affermare, come fanno alcuni teologi[9] che, oltre alla Parola e al Sacramento, anche il Carisma è un elemento costitutivo della Chiesa. Mentre però i primi per la loro reciprocità strutturale convergono nel sacramento, in cui la Parola si concretizza[10], per generare la struttura istituzionale, il Carisma per sua natura presuppone l’esistenza dell’Istituzione.

Che il Carisma presupponga l’esistenza dell’Istituzione, e in che modo contribuisca alla natura della Chiesa è uno dei punti più profondi della riflessione di Corecco:

Il Carisma, concesso sempre a tutti e due i poli dell’Istituzione (il sacerdozio comune e quello ministeriale), ha il compito di provocare l’Istituzione verso una purezza più grande di valori e di relativizzarla nella sua eventuale pretesa di erigersi a guida autonomamente esclusiva della Chiesa rispetto all’intervento dello Spirito Santo.”

La profondità di questa concezione è resa palese dal fatto che connette direttamente l’ecclesiologia alla teologia trinitaria. Corecco scrive:

Lo stesso Cristo è definito “Carisma”, cioè dono inviato dallo Spirito di Dio, così come la vocazione gratuita alla fede data indistintamente a tutti i cristiani.”

E più oltre:

Se è vero che Cristo è l’epifania totale nella storia dello Spirito di Dio, per cui non è possibile contrapporre lo Spirito Santo a Cristo – supreme espressioni della nozione stessa di unità –, è altrettanto vero che se non si distinguono le diverse operazioni dell’una e dell’altra Persona si mette a repentaglio la nozione stessa di Trinità. Per superare la tensione emersa storicamente dal rapporto bipolare tra Carisma e Istituzione, teorizzato come antinomia solo da Lutero con il binomio luterano ‘Legge e Vangelo’ (sfociato nella dottrina delle due Chiese, visibile e invisibile) e radicalizzato ulteriormente dal manifesto antigiuridico di Rudolf Sohm[11] sull’esistenza di una contraddittorietà assoluta tra il diritto e la Chiesa, non è necessario attribuire alla Chiesa una struttura fondamentale solo carismatica, in cui le diversificazioni a livello istituzionale assumerebbero carattere quantitativo e non qualitativo. È necessario per contro rivedere il significato ecclesiologico del termine Istituzione.”

L’Istituzione nella Chiesa è identificata da Corecco con il sacerdozio, che non è però ridotto a quello solo dei chierici, perché anche i laici partecipano al sacerdozio di Cristo, e ad entrambi questi “stati” lo Spirito dona i suoi Carismi:

“L’Istituzione – cioè il sacerdozio comune e quello ministeriale – ha bisogno del Carisma per realizzare l’equilibrio all’interno della propria bipolarità.”

Lo Spirito aiuta precisamente ad affrontare e a superare, grazie ai Carismi, una contrapposizione intessuta nella storia della Chiesa, una contrapposizione di poteri – laicali o clericali di volta in volta predominanti – all’interno dell’Istituzione stessa:

“Il problema strutturale della Chiesa non è perciò quello di realizzare l’unità tra il Carisma e l’Istituzione, scavalcando la funzione costitutiva del Sacramento e della Parola per eventualmente derivare l’Istituzione in modo diretto dal Carisma, come fanno alcuni; bensì realizzare l’unità tra il sacerdozio comune e quello ministeriale. […] Richiamando l’Istituzione alla priorità assoluta dello Spirito relativizzante il suo potere affinché non diventi autarchicamente assoluto, il Carisma la vivifica, aiutandola a superare lo scoglio della competitività propria ad ogni forma di potere, che nella Chiesa si è sempre tradotto in preminenza della gerarchia sui laici o talvolta dei laici sulla gerarchia.

I due poli del potere ecclesiastico, i due “stati”, non sono da contrapporre in quanto tali, perché ciascuno dei due è in rapporto all’altro:

“Ogni stato ha perciò una sua priorità nella costituzione della Chiesa, che risulta così retta da un rapporto non solo bipolare come quello esistente tra chierici e laici all’interno dell’Istituzione, ma circolare: Quella del sacerdozio comune o dei laici ha come compito di ‘ricapitolare’ tutto in Cristo, vivendo l’esistenza come partecipazione e inserimento al sacerdozio soggettivo di Cristo. Il fedele ha come compito di realizzare attraverso il proprio sacerdozio, il mandato culturale dato da Dio all’uomo agli albori della Creazione: prendere possesso del mondo. Il sacerdozio ministeriale ha come priorità quella di garantire l’unità tra i cristiani, santificandoli attraverso la Parola e il Sacramento, cioè quello di esercitare il sacerdozio oggettivo o l’autorità e di garantire dal di dentro l’esistenza e sopravvivenza della Chiesa (LG 23, 1: ‘principio e fondamento dell’unità della Chiesa particolare’).”

Il Carisma ricorda all’Istituzione qual è il suo compito, il suo senso, la sua ragion d’essere:

“In quanto espressione privilegiata della presenza e dell’attività dello Spirito Santo, il Carisma ha come funzione quella di provocare l’Istituzione ad una autenticità e ad una vitalità che le permettano di essere realmente sostegno ed espressione del ministero della Chiesa.”

I Carismi non sono il problema, ma la soluzione della contrapposizione dovuta a un esercizio del potere necessariamente inerente ai rapporti umani, i rapporti fra noi che siamo ancora per via. Come si esprime Corecco:

“Richiamando alla dimensione escatologica dell’esistenza della Chiesa, il carisma sostiene l’istituzione nella ricerca della propria unità, minacciata costantemente dalla sempre latente antinomia, propria ad ogni forma di potere, che nella Chiesa si è tradotta in preminenza della gerarchia sui laici o dei laici sulla gerarchia.”

Concludo qui l’esposizione degli argomenti di Corecco, interrogandomi ora sulla scelta di non inserire la parola “carisma” nel testo poi promulgato del Codice di Diritto canonico del 1983. Più sopra ho ricordato che per Corecco si è trattato di un “imbarazzo”, mentre io propendo a leggervi la prudenza, molto probabilmente eccessiva, per cui una teologia ancora immatura non riusciva ad accogliere l’insegnamento del Concilio Vaticano II a riguardo dei carismi. Ho la profonda convinzione che negli ultimi trent’anni la riflessione teologica sul Dio trinitario, in particolare quella di Hans Urs von Balthasar, ha permesso che venisse messo in luce come una delle opere fondamentali dello Spirito sia unire le Persone. Lo Spirito unisce le Persone nella Trinità stessa, ma anche gli uomini fra di loro e gli uomini con Dio. Che Gesù non si rivolga a Dio, ma direttamente al Padre, fa sì che tutti quelli che sono in Cristo siano posti nella sua stessa relazione. E questo è opera dello Spirito. Partecipare a un Carisma permette – questo è un dato chiarissimo nella mia esperienza personale – che un legame ben più forte di quello della carne e del sangue leghi fra loro le persone.

In fondo con questa lettera volevo testimoniarLe solo questo: il Carisma è ciò che lega fra loro in Cristo le persone, creando un legame sociale che nessun altro tipo di legame – e meno che mai il diritto positivo, foss’anche quello canonico – potrà mai eguagliare. Anzi, questo legame nuovo redime tanto il legame carnale quanto quello giuridico, entrambi segnati necessariamente dal peccato. È proprio questa la “nuova creatura” di cui parla Paolo (2 Cor. 5, 14-17), come ci ha insegnato Giussani: il Carisma non è altro dal battesimo “sostanzialmente aderito”[12]. Credo che sia perciò oggi possibile accogliere nella sua integralità la dottrina che il Concilio Vaticano II ha formulato. Anzi, forse la vicenda che, contro la nostra volontà ci è toccata, servirà proprio a mettere in evidenza e far acquisire alla coscienza di tutta la Chiesa la dottrina conciliare sui carismi.

Per chirire poi ciò a cui si riferisce il giudizio da Lei espresso nella lettera del 10.6.2022: l’unica dottrina sulla trasmissione del Carisma che io abbia sentito sostenere, sia da parte di Julian Carrón che dai responsabili a cui mi riferisco, è stata quella della necessità per ciascuno di essere leale con la propria esperienza di fede, libero e deciso nell’aderirvi e nel riconoscere chi è altrettanto libero. Il suggerimento costante è stato quello di riferirsi agli scritti di don Luigi Giussani, che ci ha detto:

Io posso essere dissolto, ma i testi lasciati e il seguito ininterrotto, se Dio vorrà, delle persone indicate come punto di riferimento, come interpretazione vera di quello che in me è successo, diventano lo strumento per la correzione e per la risuscitazione; diventano lo strumento per la moralità. La linea dei riferimenti indicati è la cosa più viva del presente, perché un testo può essere interpretato anch’esso; è difficile interpretarlo male, ma può essere interpretato così; dare la vita per l’opera di un Altro implica sempre un nesso tra la parola “Altro” e qualcosa di storico, concreto, tangibile, sensibile, descrivibile, fotografabile, con nome e cognome. Senza questo si impone il nostro orgoglio, questo sì effimero, ma effimero nel senso peggiore del termine. Parlare di Carisma senza storicità non è dire un Carisma cattolico.”[13]

Julián Carrón poi ci ha scritto:

“In questo momento così delicato della vita del movimento, ho deciso di presentare le mie dimissioni da Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, per favorire che il cambiamento della guida a cui siamo chiamati dal Santo Padre – attraverso il Decreto sull’esercizio del governo all’interno dei movimenti – si svolga con la libertà che tale processo richiede. Questo porterà ciascuno ad assumersi in prima persona la responsabilità del Carisma.[14]

Non ho idea di quali siano le evidenze sui cui Lei basi il giudizio sugli ultimi dieci anni di vita del Movimento, quale è espresso nella Sua lettera al Prof. Prosperi. Credo però che questo sia da un lato molto distante dalla realtà, dall’altro che, se qualcuno davvero coltivasse l’idea che Lei condanna, questa non sarebbe affatto adeguata all’esigenza che il Decreto dello scorso 11.6.2021 esprime, quella cioè di un’assunzione personale e responsabile del Carisma da parte di tutti i membri della Fraternità di Comunione e Liberazione. Una trasmissione meccanica, per successione quasi monarchica, non ha poi nulla a che fare con la libertà cui don Giussani ci ha sempre educato. Il nostro nome stesso, Comunione e Liberazione, esprime il fatto che solo nella comunione un cammino di libertà è possibile. E la comunione è quella cui ci ha introdotto l’incontro sia con don Giussani che con persone che lo avevano a loro volta incontrato, quella stessa di cui vive la Chiesa, quella stessa che Cristo vive con il Padre e lo Spirito Santo: a prezzo del suo sangue e per sua scelta, la rende storicamente vivibile anche a ciascuno di noi, se la accogliamo. È una responsabilità grandissima, non un privilegio. 

La modalità elettiva, che il Santo Padre ci richiede oggi di adottare, non mette dunque in questione nessuna di queste indicazioni. Mi risulta tuttavia che negli ultimi mesi, dopo la pubblicazione del Decreto dell’11.6.2021 e le dimissioni di Julián Carrón nel novembre dello stesso anno, né i Moderatori né il Presidente della Fraternità siano stati designati in questo modo. Il Codice di diritto canonico garantisce già oggi alle Associazioni liberamente costituite di scegliere liberamente i proprio Moderatori e il proprio Presidente (cfr. Can. 299; Can. 324). Tali Associazioni sono poi sottoposte alla vigilanza della Gerarchia, perché “in esse sia conservata l'integrità della fede e dei costumi” e “non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica” (Can. 305). Che il carisma sia coessenziale alla Chiesa non può perciò significare che la libertà dei fedeli venga ridotta all’obbedienza alla Gerarchia.

Eminenza, mi premeva portare alla Sua attenzione la reale concezione di Carisma che condivido con tutti quelli con cui il Signore mi ha fatto entrare in rapporto nel grande spazio libero che è il Movimento di Comunione e Liberazione. Proprio questa concezione è stata mirabilmente espressa da Eugenio Corecco. La prego perciò di prendere la riflessione canonica di Corecco in seria considerazione e di farne l’interlocutore privilegiato della Sua azione legislativa nei nostri confronti.

Mi permetta infine di esprimere la stima che ho per il compito che Le è stato affidato dal Santo Padre. Le assicuro che prenderò estremamente sul serio le indicazioni che il Dicastero da Lei diretto emanerà. 

Pregandola di pregare per me e per tutto il Movimento, resto a Sua completa disposizione,

 

 Lettera firmata




[2] Eugenio Corecco, cit., nota 6: “Cfr. i can. 580, 590 § 3, 631 § 1, 708, 716 § 1, 717 § 3, 722 §§ 1-2.

[3] Eugenio Corecco, cit., nota 35: “Così, ad esempio, nel c. 879 a proposito del sacramento della confermazione; nel c. 369 come forza aggregante della Chiesa particolare; nel c. 375 § 1 come elemento costitutivo della successione apostolica, o nel c. 747 § 1 in relazione con l’assistenza al magistero della Chiesa. Un chiaro riferimento ai ‘doni dello Spirito Santo’ appare nella normativa sugli Istituti di Vita Consacrata (cc. 573-746), ma bisogna tener conto del fatto che questa espressione (c. 605) assieme ad altre, come donationes (c. 577), oppure patrimonium instituti (c. 631 § 1), con ogni evidenza ritenute dal legislatore più anodine se non addirittura totalmente diverse, sono state di proposito scelte per sostituire il termine ‘Carisma’. Tuttavia, proprio in forza di questi ripetuti accenni all’azione dello Spirito Santo, è possibile concludere che l’infelice soppressione drastica del termine ‘Carisma’ non è riuscita a cancellare completamente il ‘principio carismatico’ dal sistema canonico (cfr. G. ChantraineLa Chiesa come comunicazione e movimento, in: I laici e la missione della Chiesa, pp. 27-46 e soprattutto 32-37”

[4] Eugenio Corecco, cit., nota 36: “Attenua questo giudizio negativo sull’espunzione del termine Carisma dall’ordinamento canonico il fatto che il CIC, contrariamente ai progetti preparatori fino al 1980, ha riconosciuto agli Istituti di Vita Consacrata carattere costituzionale e non semplicemente associativo. Il CIC, nella scia del Vaticano II, senza voler risolvere l’annosa quaestio disputata circa l’origine di consigli evangelici nello ius divinum, che rappresentano comunque una forma istituzionalizzata del Carisma, ne ha voluto rafforzare lo spessore ecclesiologico-costituzionale, non solo dichiarandoli appartenenti alla “vita e alla santità della Chiesa” (c. 207 § 2), ma sottolineando chiaramente che essi sono un “dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal Signore” (c. 575)”

[5] Eugenio Corecco, cit., nota 21. Nella versione cartacea del testo, p. 165.

[6] Eugenio Corecco, cit., nota 22. “Lumen Gentium, 12,1.

[7] Eugenio Corecco, cit., nota 1: “Cfr. E. CoreccoSinodalità: in Nuovo Dizionario di Teologia, a cura di G. Barbaglio e S. Dianich, Roma 1977, 1489 ss.

[8] Eugenio Corecco, cit., nota 2. “Lumen Gentium, 14,1.

[9] Eugenio Corecco, cit., nota 19 e nota 8 qui citata:A proposito di questo principio si rinvia al paragrafo ‘La nozione di communio’ del saggio: Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali 1222- 1225.”; nota 8: “Per uno studio approfondito di tale rinnovamento rinvio al mio saggio: Theologie des Kirchenrechts, Trier 1980. Le tappe principali dello sviluppo dottrinale che ha portato la canonistica a questo rinnovamento sono sintetizzate nella relazione finale del IV Congresso Internazionale di Diritto Canonico: E. Corecco, Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella Società. Aspetti metodologici della questione, in: I Diritti Fondamentali del Cristiano nella Chiesa e nella Società. Atti del IV Congresso Internazionale di Diritto Canonico, Friburgo (Svizzera) 6-11 ottobre 1980. A cura di E. Corecco, N. Herzog, A. Scola, Fribourg-Freiburg-Milano 1981, 1207-1234 soprattutto 1210-1213.

[10] Eugenio Corecco, cit., nota 20: “Per un’analisi approfondita di questa diversità vedi: E. Corecco, Prospettive per la “Lex Ecclesiae Fundamentalis” e la revisione del Diritto Canonico nel documento di Puebla, in: DirEccl 1 (1980) 3-23.”

[11] Eugenio Corecco, cit., nota 3 “R. Sohm, Das Kirchenrecht steht mit dem Wesen der Kirche in Widerspruch, in Kirchenrecht, I, Leipzig, 1892, 1 e 700

[12] Luigi Giussani, Il potere del laico, cioè del cristiano, intervista di Angelo Scola, in: 30 Giorni (agosto-settembre 1987) p. 45

[13] Luigi Giussani, Il sacrificio più grande è dare la propria vita per l’opera di un Altro, in: Litterae Communionis-Tracce, aprile 2005, pp. 6-7

[14] Julián Carrón, Lettera alla Fraternità del 15.11.2021

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