domenica 15 ottobre 2017

Il problema è raggiungere il cielo. Usiamo la torre d'oro.

http://www.laciviltacattolica.it/articolo/la-57a-biennale-di-venezia/

james lee byars' 20-meter-tall 'golden tower' erected along venice's grand canal from designboom on Vimeo.


LA 57A BIENNALE DI VENEZIA

«La torre dorata» e l’arte viva

pag. 74 - 88
Anno 2017
Volume IV
ABSTRACT – La 57a edizione della Biennale di Venezia ha proposto in questa occasione un punto di svolta. La curatrice Christine Macel infatti è nota da sempre per sottrarsi a tutti i teoremi concettualmente imposti all’arte, incluse le questioni sulla sua funzione politica. Era chiaro che c’era da attendersi un impianto puramente orientato all’arte in quanto arte.
Ecco dunque che la curatrice presenta la sua mostra ostentatamente sotto il titolo «Viva Arte Viva», e se la cava senza alcun argomento sovrastante. Nel cammino verso l’opera concreta, l’arte è allo stesso tempo percorso e obiettivo. Proprio in questo modo agisce come pathoscreativo dell’individuo nella società; è una forza e un energico «sì» alla vita. Vive prevalentemente e decisamente della domanda sul contenuto e sulla giusta forma. L’arte non è altro che un perpetuo processo di creazione.
Così per la Macel l’arte si è sviluppata in un nuovo «principio speranza». «Senza speranza siamo spacciati», ella ha detto in una delle tante interviste. Il nostro futuro dipende dalle nostre azioni, poiché l’indifferenza, la passività e il disimpegno possono solo dare fastidio. Per questo ai suoi occhi «l’arte è uno spazio non-ortodosso, relativamente autonomo da difendere, uno degli ultimi bastioni della libertà in cui vengono immaginati nuovi mondi».
Come sempre, la Biennale si espande in modo evidente e consapevole in tutta la città. Si concentra nella mostra centrale e nei padiglioni nazionali ai Giardini e all’ Arsenale, ma si allarga anche a molti musei, palazzi e chiese con i suoi Eventi collaterali, per muoversi infine, attraverso interventi liberi, in vari spazi pubblici e luoghi di Venezia. Da maggio a novembre, per sei mesi, segna il volto e l’atmosfera della città.
Nessuna scultura, nello spazio pubblico di Venezia, cattura meglio lo spirito della Biennale di quest’anno quanto La torre dorata di James Lee Byars (1932-1997). L’opera dà forma a un’idea antica: simboleggia un’ascesa metaforica verso un monte sacro, una realizzazione quasi plastica dell’uomo che si eleva per onorare gli dèi. Byars cercava un modo per collegare simbolicamente il cielo e la terra, per unire l’umanità davanti a Dio. Lo splendore dell’oro rappresenta contemporaneamente un’idea intellettuale e un’esperienza spirituale, la concezione del divino. Ne emerge la motivazione più profonda dell’opera di Byars: usare l’oro come simbolo ultimo del supremo e dell’infinito.

lunedì 25 settembre 2017

Mendicanti o gendarmi?

È stata pubblicata una lettera a papa Francesco, in cui gli si chiede di rettificare sette affermazioni che sarebbero inconciliabili con la fede cattolica. La lettera è firmata da una sessantina di professori, giornalisti e intellettuali e da un vescovo (Mons Fellay, il successore di Marcel Lefebvre, dalle cui azioni scaturì uno scisma, oggi quasi riassorbito nella cattolicità grazie agli ultimi 3 papi).

I firmatari hanno creato un sito www.correctiofilialis.org e aperto la sottoscrizione alla loro lettera. La lettera è stata pubbliata contemporaneamente in più lingue (non so quali, ma diverse).

Neppure io sosterrei le affermazioni che questi firmatari sostengono il papa sostenga. Le hanno redatte in latino, credo per evitare ambiguità di comprensione. La traduzione italiana è di Vatican Insider.

A lato: il bacio di Maria e Giuseppe, dalla Rivista di pedagogia religiosa.

Ci sono diversi aspetti in questa vicenda che ne fanno un buon caso di studio della radice della confusione presente:

1. Il papa ha chiesto esplicitamente, in più occasioni, che si aprisse un dibattito, che si parlasse dei punti che stanno oggi più a cuore ai credenti e che si cercasse la strada migliore per proseguire il cammino, insieme.

2.  Ha pubblicato due encicliche densissime e ha fatto tenere due sinodi sulle tematiche citate in questa lettera.

3. I firmatari della lettera hanno molto a cuore il primato del papa, credono fermamente nella gerarchia ecclesiastica, ma correggono il papa, correggono cioè chi nella Chiesa ha proprio il compito di sorreggere lui la fede di tutti gli altri.
 
4. Pensano che le questioni di Dio prescindano completamente da due dimensioni che sono invece vitali per il fatto cristiano: la libertà e l'incarnazione, l'unicità del concreto (la carne).

  • la libertà, perché la grazia deve agire meccanicamente (tesi 1)
  • l'unicità del concreto perché il convivere "more uxorio", cioè come marito e moglie, è considerato come un perimetro che invariabilmente e sempre è peccaminoso se la forma non è esattamente quella prevista dal diritto canonico. (tesi 2)
Eppure è proprio di Dio agire liberamente ed è proprio lo spazio del rapporto personale quello che meno si presta alle generalizzazioni e a una definizione legale. E si presta invece al giudizio di fede sacramentalmente illuminato della confessione, come il papa continua a ribadire. È responsabilità dei vescovi e dei confessori giudicare questo ambito, non dei canonisti.
I canonisti possono contribuire al fatto che ci siano buoni vescovi, buoni confessori.

Il dibattito richiesto dal papa e maldestramente attuato da questi intellettuali, è urgente e importante perché si tratta del germe della vita. E il mondo sta morendo.

Cari saluti,
Ida


(1)“Homo iustificatus iis caret viribus quibus, Dei gratia adiutus, mandata obiectiva legis divinae impleat; quasi quidvis ex Dei mandatis sit iustificatis impossibile; seu quasi Dei gratia, cum in homine iustificationem efficit, non semper et sua natura conversionem efficiat ab omni peccato gravi; seu quasi non sit sufficiens ut hominem ab omni peccato gravi convertat.”
«1. Una persona giustificata non ha la forza con la grazia di Dio di adempiere i comandamenti oggettivi della legge divina, come se alcuni dei comandamenti fossero impossibili da osservare per colui che è giustificato; o come se la grazia di Dio, producendo la giustificazione in un individuo, non producesse invariabilmente e di sua natura la conversione da ogni peccato grave, o che non fosse sufficiente alla conversione da ogni peccato grave». 

(2) Christifidelis qui, divortium civile a sponsa legitima consecutus, matrimonium civile (sponsa vivente) cum alia contraxit; quique cum ea more uxorio vivit; quique cum plena intelligentia naturae actus sui et voluntatis propriae pleno ad actum consensu eligit in hoc rerum statumanere: non necessarie mortaliter peccare dicendus est, et gratiam sanctificantem accipere et in caritate crescere potest.”
«2. I cristiani che hanno ottenuto il divorzio civile dal coniuge con il quale erano validamente sposati e hanno contratto un matrimonio civile con un’altra persona (mentre il coniuge era in vita); i quali vivono 'more uxorio' con il loro partner civile e hanno scelto di rimanere in questo stato con piena consapevolezza della natura della loro azione e con il pieno consenso della volontà di rimanere in questo stato, non sono necessariamente nello stato di peccato mortale, possono ricevere la grazia santificante e crescere nella carità». 

(3) “Christifidelis qui alicuius mandati divini plenam scientiam possidet et deliberata voluntate in re gravi id violare eligit, non semper per talem actum graviter peccat.”
«3. Un cristiano può avere la piena conoscenza di una legge divina e volontariamente può scegliere di violarla in una materia grave, ma non essere in stato di peccato mortale come risultato di quell’azione». 

(4) “Homo potest, dum divinae prohibitioni obtemperat, contra Deum ea ipsa obtemperatione peccare.”
«4. Una persona, mentre obbedisce alla legge divina, può peccare contro Dio in virtù di quella stessa obbedienza». 

(5) “Conscientia recte ac vere iudicare potest actus venereos aliquando probos et honestos esse aut licite rogari posse aut etiam a Deo mandari, inter eos qui matrimonium civile contraxerunt quamquam sponsus cum alia in matrimonio sacramentali iam coniunctus est.”
«5. La coscienza può giudicare veramente e correttamente che talvolta gli atti sessuali tra persone che hanno contratto tra loro matrimonio civile, quantunque uno dei due o entrambi siano sacramentalmente sposati con un’altra persona, sono moralmente buoni, richiesti o comandati da Dio». 

(6) “Principia moralia et veritas moralis quae in divina revelatione et in lege naturali continentur non comprehendunt prohibitiones qualibus genera quaedam actionis absolute vetantur utpote quae propter obiectum suum semper graviter illicita sint.”
«6. I principi morali e le verità morali contenute nella Divina Rivelazione e nella legge naturale non includono proibizioni negative che vietano assolutamente particolari generi di azioni che per il loro oggetto sono sempre gravemente illecite». 

(7) “Haec est voluntas Domini nostri Iesu Christi, ut Ecclesia disciplinam suam perantiquam abiciat negandi Eucharistiam et Absolutionem iis qui, divortium civile consecuti et matrimonium civile ingressi, contritionem et propositum firmum sese emendandi ab ea in qua vivunt vitae conditione noluerunt patefacere.”
«7. Nostro Signore Gesù Cristo vuole che la Chiesa abbandoni la sua perenne disciplina di rifiutare l’Eucaristia ai divorziati risposati e di rifiutare l’assoluzione ai divorziati risposati che non manifestano la contrizione per il loro stato di vita e un fermo proposito di emendarsi». 


Impostazioni post Etichette Data di pubblicazione 25/09/17 10:41 Ora estiva dell'Europa centrale Permalink Ubicazione Opzioni

martedì 5 settembre 2017

Papa Francesco in Colombia dal 6 all'11 settembre






La crónica histórica (elaborada al año siguiente de los acontecimientos) señalan que en el año 1586 María Ramos, una mujer del lugar, sabiendo que el lienzo había guardado la imagen de la Virgen María, decide reparar el viejo oratorio y el lienzo maltratado, otorgándole el mejor lugar de la capilla. Diariamente oraba y pedía a la Virgen del Rosario que se manifestara, hasta que el 26 de diciembre de 1586 cuando María salía del oratorio, una mujer indígena llamada Isabel junto a su pequeño hijo, al pasar por el lugar, le gritaron a María: "mire, mire Señora...". Al dirigir su mirada a la pintura, ésta brillaba con resplandores y la imagen, que estaba irreconocible, se había restaurado con sus colores y brillo originales; los agujeros y rasguños de la tela desaparecieron. Desde entonces empezó la devoción a la advocación conocida como "Nuestra Señora del Rosario de Chiquinquirá".

giovedì 20 luglio 2017

Abuna Antonios, il Patriarca legittimo della Chiesa Eritrea, ha partecipato domenica a una celebrazione eucaristica. Sotto scorta e senza diritto di parola.

Antonios of HamassinAbuna Antonios è stato visto in pubblico domenica scorsa: il regime l'ha portato a una celebrazione eucaristica. Radio France International ha pubblicato la notizia e un commento: http://en.rfi.fr/africa/20170718-eritrea-manipulates-reappearance-detained-orthodox-church-leader
Dal 2006 non si era mai più visto, era tenuto prigioniero in un luogo nascosto. 
Il Patriarca eritreo ha compiuto da poco 90 anni e le pressioni sul governo perché liberi sono aumentate. Se Antonios potesse parlare, il dramma degli eritrei che muoiono nel mare e nel deserto avrebbe una voce che li unisca. Senza, non ce l'hanno.  


***

Gli allievi di Abuna Antonios emigrati in America hanno pubblicato la sua storia:

Eritrean crossHis Holiness Abune Antonios, Patriarch of the Eritrean Orthodox Tewhado Church

Patriarch Antonios was born in 1927 in the town of Hembrti, to the north of Asmara in the province of Hamisien. His father was a priest and at the age of five he entered the monastery of Debre Tsege Abuna Andrewes where he was educated for the service of the church, being ordained a deacon when he was twelve. Professed a monk and ordained priest in 1942, he was elected Abbot in 1955.
When the Eritrean Orthodox Tewhado Church first sought its independence, he was one of the five abbots of monasteries to be sent to Egypt to be ordained a bishop so that the church would have its own Holy Synod. He was ordained as Bishops Antonios of Hamasien-Asmara on 19 June 1994 in St. Mark’s Cathedral, Cairo, at the hands of His Holiness Shenouda III, Pope and Patriarch of Alexandria..
Following the death in 2003 of Abune Yacoub, second Patriarch of the Eritrean Church, he was elected Patriarch in popular elections which were unanimously endorsed by the Holy Synod. His ordination and enthronement as Patriarch took place on 23 April in Asmara, at the hands of Pope Shenouda III, assisted by Eritrean and Coptic Orthodox Metropolitans and Bishops.

Concern had been growing about government interference in religious affairs and Patriarch Antonios increasingly resisted government interference, especially instructions emanating from Mr. Yeftehe Dimetros, the government’s official responsible for church matters. In January 2005 the Patriarch’s annual Nativity message was not broadcast or televised and the Eritrean Holy Synod met on 6-7 August 2005 with the main purpose of removing all executive authority from the Patriarch. Among accusations brought against the Patriarch, were his reluctance to excommunicate 3,000 members of the Medhane Alem, an Orthodox Sunday School movement, and his demands that the government should release imprisoned Christians accused of treason. He was allowed to officiate at church services but prohibited from having any administrative rôle in church affairs.
At first the government denied the removal of the Patriarch and pointed to the fact that he was performing certain ceremonial functions but while he was under virtual house arrest at his residence in Asmara a delegation travelled to Egypt on 25 July to seek the support of Pope Shenouda, for his deposition and replacement. His Holiness refused to recognise this as a canonical act and urged the faithful to pray for Patriarch Antonios who “is passing through a great tribulation. We hope that the Lord will rescue him.”

On 13 January 2006 a secret session of the Holy Synod was held in Asmara which formally removed the Patriarch from office and his detention was tightened to ensure he remained incommunicado. On 20 January, 2007, two priests accompanied by three security agents of the government entered the Patriarch’s residence and confiscated his personal pontifical insignia.
On 27 May 2007, in violation of the church’s constitution and canons, the government installed Bishop Dioscoros of Mendefera as anti-Patriarch. The same day, in the early hours of the morning, Abune Antonios, was forcibly removed from his residence and transported to an undisclosed location. The Patriarch suffers from severe diabetes and fears have been expressed for his continued wellbeing.




***

La pubblicazione di Radio France International: 

Eritrea accused of manipulating Orthodox Church leader's reappearance


Orthodox Eritrean priests take part in the festival of Meskel, September 2007.AFP Photo/Peter Martell
Eritrean authorities have stage-managed the first public appearance in 10 years of Patriarch Abune Antonios, rights group Christian Solidarity Worldwide has told RFI. The former head of the country’s Orthodox Church had been under house arrest for opposing the government's attempts to control one of the country’s largest Christian denominations.




“Everything points to trying to manage a narrative because of international pressure,” said Christian Solidarity Worldwide’s Khataza Gondwe, referring to Antonios’s appearance during mass at a cathedral in Asmara on Sunday.
Despite being present at the service, Antonios was not allowed to say anything, people were forbidden from taking photographs and afterwards he was returned to where he is being detained, said Gondwe. “There were suspicions that this might not be all that it cracked up to be,” she added.
Q&A: KHATAZA GONDWE
The European Parliament recently adopted a resolution calling for the patriarch’s release, while the French government in June said that his continued house arrest showed the Eritrean government’s “serious and persistent violation of the freedom of religion or belief and fundamental freedoms”.
“There’s been mounting international pressure about his case, he recently turned 90 years old, there was no justification for holding a 90-year-old under house arrest for all these years,” said Gondwe, who heads up the London-based religious rights group’s Africa team. “I think it was becoming an embarrassment.”
Last seen in public in 2006
The former leader of Eritrea’s Orthodox Church had protested against the government’s meddling in church business and was last seen publicly at the end of 2006.
“He had increasingly been objecting to government interference in church affairs. The government wanted to tighten its control of the main Christian religious group,” said Gondwe.
“He was progressively deprived of his powers, including administrative oversight of the patriarchate, then he was confined in his residence and later in 2007 he was taken to an unknown destination and held under house arrest that became increasing stringent,” she added.
The European Parliament’s resolution outlined the patriarch’s refusal “to excommunicate 3,000 parishioners who opposed the government” as one of the reasons for his detention. Since then “he has been held in an unknown location where he has been denied medical care”, the adopted text said.
A statement by Eritrea's Orthodox Church said that the "issue" with Antonios had "come to an end" on 11 July following a meeting of the Synod, according to a translation of the Tigrigna statement by the church's diocese in the US and Canada. It said the meeting of the church's council had "come to conclusion with full reconciliation, peace and love".
Eritrea’s Orthodox Church plays an important role in a society that is reported to be approximately half Muslim and half Christian. It is the largest Christian denomination in Eritrea in terms of membership, according to Christian Solidarity Worldwide.
Eritrea’s Minister of Information Yemane Gebremeskel told RFI that "the country is a secular state and does not intervene in purely religious affairs".




martedì 13 giugno 2017

Preghiera di sant'Antonio

Lux mundi Deus immense, Pater aeternitatis,
largitor sapientiae et scientiae,
totius gratia spiritualis inestimabilis dispensator,
noscens omnia priusquam fiant,
faciens tenebras, et lucem;
mitte manum, et tange os meum,
et pone illud ut gladium acutum
ad enarrandum eloquenter verba tua.

Fac, Domine, linguam meam ut sagittam electam
ad pronunciandum memoriter mirabilia tua:
mitte, Domine, spiritum tuum
in cor meum ad percipiendum,
et in animam meam ad retinendum,
et in conscientiam meam ad meditandum:
pie, sancte, misericordior, clementer,
et leniter in me gratiam tua inspira:
doce, instrue, et instaura
introitum, et exitum sensuum meorum,
et cogitationum mearum ;
et doceat me usque in finem
disciplina tua, et misericoridam tuam. Amen.


Luce del mondo, Dio immenso, Padre dell'eternità,
tu doni la sapienza e la scienza,
tu concedi la preziosissima grazia dello spirito;
tu sai tutto, prima che fosse,
creatore delle tenebre e della luce;
stendi la tua mano e tocca la mia bocca,
trasformala in una spada acuminata
perché possa dire con maggior eloquenza le tue parole.

Fa o Dio della mia lingua una freccia scelta

che pronunci con memoria fedele le meraviglie che hai compiuto:
manda o Dio il tuo Spirito
nel mio cuore perché le percepisca,
e nel mio animo perché le ricordi, 
e nella mia coscienza perché le mediti:
in fede e santità, misericordia e clemenza;
e invadimi dolcemente con la tua grazia:
ammaestra, istruisci e consolida
ciò che entra e ciò che esce dai miei sensi
e dai miei pensieri;
perché il tuo insegnamento e la tua misericordia
mi guidino fino al mio destino. Amen

sabato 18 marzo 2017

C'è vita in Armenia, grazie a Teresa e a molti di noi. Grazie!








Un sacco di gente chiedere cosa c'è di sbagliato con una donna che si e ' bruciato nel cuore di Yerevan, insieme con 2 figlie.

(era nell'ottobre 2015; una donna entra in un supermercato, prende l'olio di semi di girasole, pasta, pane, arriva al bancone, ha detto che non aveva i soldi, ma ha davvero bisogno di questi prodotti, perché non hanno nulla da mangiare ...
Alla cassa negata la tutela viene e porta via ha questi prodotti.
Sta lasciando nella disperazione; si butta con la benzina e bruciare. Polizia salva lei e lei passa molto tempo in ospedale con ustioni gravi. Ho visto la notizia sul giornale, andata a trovarla in ospedale e l'hanno presa e le ragazze sotto la nostra custodia).

Uno dei miei piu ' cari amici in Svizzera, Ida soldini, già un anno e mezzo, ogni mese, nella stessa ora, stesso momento, l'invio di aiuti finanziari per la famiglia.
La donna e ' lavorare come custode, facendo qualcosa, con migliaia di dram.

E questo e ' quello che hanno detto di dirti "Buon Swiss Miss" ragazze che donna-che questi disegni. '' con amore da yerevan ''.

Respira più facile quando c'e ' che l'umanità senza confini e senza la nazionalità...

Idusya, hai capito tutto, giusto?
C' è posta per te dalle ragazze di lusine



Многие спрашивают что случилось с женщиной ,которая сожгла себя в центре Еревана вместе с 2 дочками .
(Это было в октябре 2015 года; женщина заходит в супермаркет , берет подсолнечное масло , макароны , хлеб , подходит к кассе , говорит, что денег у нее нету , но ей очень нужны эти продукты , потому что им нечего кушать ...
На кассе отказывают , приходит охрана и отнимает у нее эти продукты .
Она уходит в отчаянии ; обливает себя бензином и сжигает . Милиция ее спасает и она долгое время проводит в больнице с сильными ожогами. Я увидела новость в газете , посетила ее в больнице и взяла ее и девочек под нашу опеку ) .
Один из самых моих близких друзей в Швейцарии , Ida Soldini, уже полтора года , каждый месяц , в тот же час , ту же минуту , отправляет финансовую помощь этой семье .
Сама женщина работает уборщицей , зарабатывает сорок с чем то тысяч драм.
И вот , что просили передать 'Доброй Швейцарке ' девочки этой женщины- вот эти рисунки . '' С Любовью из Еревана ''.
Дышать просто легче когда есть такое человечество без границ и без национальностей ...
Idusya , hai capito tutto , vero ?
C'è posta per te dalle bambine di Lusine

lunedì 13 febbraio 2017

Nazione, patria? Il problema è identificare cosa siamo: "popolo". Dibattito con Sergio Morisoli e il suo discorso del 1. agosto

Dalla RTSI riprendiamo il dibattito sulle "destre" di sabato scorso:

MOBY DICK
Sabato 11 febbraio 2017 alle 10:00
p://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/moby-dick/A-destra-tutta%E2%80%A6-Ma-dov
Moby Dick discute con Roberta Pantani, consigliera nazionale della Lega dei Ticinesi, Sergio Morisoli deputato in Gran Consiglio Ticinese per “La Destra” e Paolo Clemente Wicht ex presidente dell’UDC ticinese. Ospiti di “Moby Dick”, in interviste registrate, anche Gianfranco Fini ex presidente della Camera e artefice della trasformazione postfascista del Movimento Sociale Italiano e Roger Köppel direttore del settimanale “Die Weltwoche”.
***

 Da Libera TV riprendiamo il discorso del 1. agosto
Il Primo Agosto di Morisoli per la piazza di Liberatv: "Il mio discorso politically non correct a un Paese stanco. Il concetto di egualitarismo è l’origine dei guai di oggi"
"E’ inutile negare o far finta del contrario, l’occidente e l’Europa, quindi la Svizzera e il Ticino compresi, cioè la nostra civiltà occidentale, sono quello che sono e quello che tutti gli altri ci invidiano, sennò non si capirebbe perché vogliono venirci chi in massa e chi per farci affari, perché la nostra identità è stata per secoli, tre millenni, plasmata dalla fede e dalla ragione
Care concittadine e cari concittadini,

il primo d’agosto, per tradizione, dà l’occasione ai politici di esprimersi nelle piazze pubbliche di villaggi e città svizzere. Nell’era elettronica mi rivolgo con onore e piacere agli abitanti di LiberaTV dalla piazza virtuale che mi ospita, e ringrazio il sindaco Marco Bazzi e i suoi municipali per questa opportunità.

I temi da affrontare potrebbero essere numerosi, ma in definitiva faccio una scelta discutibile e politically non correct: propongo un ragionamento sul “chi siamo”.  Molti altri più bravi di me parleranno oggi di cosa dobbiamo fare o non dobbiamo fare, colgo questa occasione invece per attirare l’attenzione su chi mette in moto il fare: la persona con tutto ciò che è e rappresenta. Senza la persona qualsiasi piano qualsiasi progetto, qualsiasi misura è carta straccia. Il cambiamento può avvenire solo se il cuore dell’uomo cambia, e affinché ciò avvenga in definitiva l’uomo è costretto a riscopre in continuazione “chi è”. Non solo anche, ma in questo momento soprattutto i politici dovrebbero mettersi su questo cammino. Sono convinto che il percorso per trovare la risposta identitaria del “chi siamo?” potrebbe essere già una buona parte della soluzione dei problemi che ci assillano. La politica, impegnata dal dopoguerra ad oggi nella ricerca del “cosa dobbiamo avere” ha smarrito il sentiero parallelo che porta a sviluppare lo sforzo in direzione del “chi vogliamo essere”. Le ragioni per le quali da tempo si sono evitate le famose questioni essere o non essere di Amleto, o l’avere o essere di Erich Fromm, sono tutte legittime e molteplici. Ciò non toglie che, se ci troviamo inguaiati nei problemi che sappiamo è anche dovuto a questa dimenticanza durata troppo a lungo.

Se non ci sforziamo di capire “chi siamo” difficilmente riusciremo a definire “chi vorremo essere” e soccomberemo a chi già oggi sa molto bene “chi è” e lotta deciso per “chi vuole rimanere”. Il grosso rischio, se evitiamo questo esercizio, è quello che, altri, non ci chiederanno chi “vorremo essere” ma ci imporranno “chi dobbiamo essere”. Sappiamo troppo bene, dalla concretezza degli orrori del secolo scorso, che la prima misura delle tirannie per sottomettere persone è popoli è quella di cancellargli l’identità.

Per la verità uno sforzo collettivo identitario a tutti i livelli, durato decenni, per convincerci che dovremo essere un giorno tutti uguali c’è stato, eccome. E proprio il concetto di egualitarismo è l’origine dei guai di oggi. Attenti, l’egualitarismo non è un concetto cavalcato solo dalle ideologie fallimentari di sinistra, loro volevano e vogliono il disumano “egualitarismo di arrivo”; ma pure  l’utopico ed esclusivo “egualitarismo di partenza” voluto da destra non ha avuto maggior fortuna.  Vediamo alcune macro dinamiche egualitariste lanciate diversi decenni orsono con le quali ci siamo occupati attivamente o reattivamente (quasi) tutti (marxisti e capitalisti, destra e sinistra, padroni e lavoratori, indigeni e stranieri, ecc…) e che oggi sappiamo averci portato in un vicolo cieco. Prima, un egualitarismo materiale di arrivo, da raggiungere ad ogni costo dividendo dall’alto le risorse in parti uguali grazie l’intervento dello Stato ridistributore (togliendo a qualcuno per dare ad altri); poi un egualitarismo di chances cercando di moltiplicare gli interventi compensatori dall’alto per annullare le differenze di partenza (dando solo a certi); quindi un egualitarismo promosso nel supermercato dei diritti infiniti senza doveri e delle totali libertà senza responsabilità per tutti; poi ancora un egualitarismo spirituale eliminando le credenze religiose dallo spazio pubblico e relegandole al privatismo se non estirpandole; poi un egualitarismo mercantilista foriero di un consumismo privato e pubblico in cui altri decidono di cosa abbiamo bisogno e gli stessi decidono pure come soddisfarci questi bisogni; da ultimo entra in scena l’egualitarismo del diritto e delle leggi sottraendo sovranità e autodeterminazione nazionale con l’imposizione dell’omologazione giuridica continentale anonima, asettica e gelida. Questo pluridecennale lavoro sul cantiere politico dell’egualitarismo, seppur in campi e forme diverse e perfino in buona fede, ha tolto di mezzo l’abitudine e la fatica politica del dover trasformare, amalgamare in opportunità la ricchezza delle diversità quale forma primaria di alimentazione della nostra identità. Nella storia dell’umanità difficilmente è mai esistito un periodo come il nostro in cui si innalzassero inni continui alle differenze e alle diversità per poi paradossalmente e concretamente cercare di omologarle massificarle rendendole norma banale anziché eccezioni valide. Mai prima d’ora si è tanto sacralizzato il sentimento collettivo ma paradossalmente nel contempo mai si è reso l’uomo tanto solo e atomizzato mettendolo in una posizione di paura e smarrimento. Non sono giudizi morali, sono fatti, come sono fatti il benessere e la prosperità di cui beneficiamo e di cui sono grato e che compensano ampiamente queste disfunzioni, il problema però è fino a quando?

Cosa c’entra tutto questo con il 1. d’agosto? Oggi c’entra eccome, e tanto più se si tien conto dei fatti di cronaca, l’identità è un tema che nessun politico lascerà da parte, è il tema. Ma l’identità generica o nazionalistica senza riflettere e ri-capire chi siamo, da sola non basta. Un’identità di popolo è data e si perpetua se ogni persona che lo forma sa chi è; se ci si sforza di conoscerla, consolidarla e di tramandarla di generazione in generazione.  E’ vero anche l’inverso, cioè che una persona si identifica in un popolo se questo sa chi è. L’identità, come la libertà non è data una volta per tutte; ma vanno conquistate difese e promosse nel piccolo come nel grande, quotidianamente. Allora proviamo a procedere per scalini. Una identità si forma tramite radici, tradizioni, usi costumi abitudini e valori condivisi; non c’entra nulla con la razza quella non ce la possiamo dare da noi stessi, non ce la scegliamo; mentre un’identità ce la possiamo costruire, scegliere e perfino rifiutare e rinnegare. Ecco, negli ultimi decenni, in Europa, in Svizzera e anche in Ticino abbiamo impiegato più tempo e risorse per cercare di rinnegare, confondere e  truccare la nostra identità, fino a mutarla affinché piacesse ad altri, piuttosto che a pulirla, lustrala, valorizzarla e migliorarla, lanciati come eravamo tutti nell’ideologia utopica dell’egualitarismo integrale. Egualitarismo, inteso come annullamento di qualsiasi differenza, come condizione, mezzo e fine per garantire pace e benessere. Come reazione a ciò, nascono poi  le deliranti e criminali fughe in avanti protezionistiche e xenofobe che trovano terreno fertile quando le identità vere scompaiono, mentre questi movimenti trovano lo spazio e il vantaggio per imporre le loro identità malate. Ma quando scompaiono, si annientano, si disimparano, si dismettano, si trascurano, si svalutano le vere identità dei singoli e con esse di un popolo, si apre a poco a poco lo spazio per l’inserimento, a volte violento, di identità esotiche totalitarie e proiettate verso l’egemonia. Certamente la nostra identità è anche minacciata dal terrorismo islamico o dalla non integrazione delle folle di disperati in cerca di una vita migliore, ma sarebbe un errore colossale concludere che queste siano le uniche cause.  La prima modifica genetica della nostra identità unica e originale invece ce la stiamo procurando noi stessi da anni, convinti ormai che il progresso sia possibile se e solo se diventiamo altro da ciò che si era e si è. Quindi i decenni passati ossessivamente a negare le nostre radici, a relativizzare i nostri valori, ad auto colpevolizzarci per le sfortune altrui, a imitare o integrare con risultati fallimentari modelli non nostri, a sviluppare un senso di frustrazione e impotenza stanno producendo ciò che di peggio non ci potrebbe essere per una sana identità di popolo: stanno producendo il cinismo degli adulti, la distruzione della speranza nei giovani e la paura generale. Il risultato è che molti si comportano come se fossero l’ultima generazione, anziché provare a pensare cosa farebbero di diverso se fossero la penultima. Trovando una identità in fase di smantellamento, chi ha altre identità pacifiche ma più spesso forti e bellicose, ha gioco facile ad accelerare il nostro processo autodistruttivo. Le teorie economico politiche di Rawls, nate sul relativismo olistico,  che per molto tempo (troppo) ci hanno spinto a spogliarci di qualsiasi tratto identitario che potesse ostacolare la collaborazione con l’altro, e viceversa; ci hanno alla lunga resi nudi e smarriti ma senza contropartita. Perfino Habermas giunge ad abbandonare le posizioni scettiche e relativiste  quanto l’identità, quando si tornasse a valorizzare quanto di buono c’è nella nostra storia in tutto e in tutti e ricuperarlo per ridefinire un bene comune. Papa Ratzinger poi nei suoi interventi all’università di Ratisbona, al collège des Bernardins di Parigi, al Budestag di Berlino, alla Westminster Hall di Londra e alle Nazioni unite di new York a più riprese e in modo incontestabile ci ha detto senza eguali quale è l’identità dell’occidente e la sua vera forza.  Ma il processo di smantellamento identitario non è astratto o solo filosofico, è pratico e concreto a qualsiasi livello lo si voglia osservare. Sono centinaia gli esempi fattibili e riconducibili alla regressione identitaria. Tutti esempi riconducibili a decisioni o valutazioni politiche sbagliate a riguardo dei processi di causa effetto che incidono sull’identità di un popolo. Alcuni esempi. Se la svizzera è costretta ad adottare il diritto europeo e le sue sentenze c’è una debolezza identitaria interna e quindi una incapacità poi di farsi valere in politica estera, prima che un attacco esterno. Se l’islam avanza in Europa e particolarmente in certi Paesi c’è una ragione identitaria interna e quindi un terreno fertile incustodito, prima che un attacco esterno. Se il Ticino subisce solo le conseguenze negative degli accordi internazionali c’è una debolezza identitaria interna e una progettualità negoziale insufficiente, prima che la malafede degli altri. Pochi esempi per dire che i nuovi barbari,  i nemici politici , i concorrenti economici senza scrupoli sono ovunque e dobbiamo temerli, ma non dimentichiamo che la nostra debolezza identitaria facilita loro il compito. Le sfide da affrontare, con le dovute proporzioni in Europa, in Svizzera e in Ticino sono: iinvecchiamento della popolazione, denatalità e sgretolamento della famiglia, manipolazione della vita umana, importazione di persone e esportazione di lavoro, meticciato culturale e migrazioni di massa, assicurazioni sociali in perdita focalizzate su formule di mercati finanziari inefficienti, crisi del finanziamento dello stato sociale e rischio d’inflazione, concorrenza «sleale» tra stati e barriere d’entrata sui nuovi mercati, neo-protezionismo e default Paesi sviluppati, iper-regolamentazione nei mercati saturi, ostacoli e disincentivi alla proprietà privata e all’imprenditoria, dissociazione: elettore-contribuente-beneficiario, burocratizzazione della vita, riforma delle democrazie e la modernizzare lo Stato.

Non sono sfide perse in partenza, o una battaglia in cui bisogna alzare bandiera bianca prima di iniziarla. C’è speranza. La speranza è ciò che ha da sempre fatto grande l’occidente, ma attenzione: non commettiamo l’errore di credere  che il terrorismo islamico, la barbara concorrenza economica e la selvaggia migrazione sud nord siano sconfitte semplicemente  rinunciando ad essere ciò che siamo e cercando il sistema che mescolando un po’ del loro con un po’ del nostro tutto rimanga com’è. Sperando vanamente che abbiano poi, chissà per quale ragione, pietà di noi. Accentuo la questione identitaria quale fattore di speranza e di ripartenza perché la storia dell’occidente è disseminata di esempi di rinascita, quando tutto sembrava definitivamente perso, attraverso una riappropriazione delle essenzialità identitarie di popolo. Un esempio su tutti: ora et labora, che altro non fu che la ricostruzione dell’Europa da parte degli ordini monastici benedettini dopo le barbarie seguenti la caduta dell’impero romano d’occidente. La speranza opera ed è potente se mossa da uomini vivi, cioè se sanno chi sono e cosa vogliono. In ultima analisi se sapremo farci rispettare consapevoli della ragione per la quale ilnostro amore per la vita libera è più forte dell’amore per la morte, per la distruzione e per la sottomissione di coloro ci vorrebbero  sconfiggere.

Alcuni punti saldi devono essere ripresi e corretti per riscoprire, progettare e costruire di nuovo la nostra identità orgogliosamente occidentale. Lo si può fare unicamente con una grande dose di umiltà e onestà intellettuale, e isolando i pregiudizi che per decenni ci sono stati inculcati in funzione del progetto sociale di ingegneria egualitaria. Proviamoci.

E’ inutile negare o far finta del contrario, l’occidente e l’Europa, quindi la Svizzera e il Ticino compresi, cioè la nostra civiltà occidentale, sono quello che sono e quello che tutti gli altri ci invidiano, sennò non si capirebbe perché vogliono venirci chi in massa e chi per farci affari, perché la nostra identità è stata per secoli, tre millenni, plasmata dalla fede e dalla ragione.

Non è mai stato un rapporto facile tra le due, ma per secoli senza esclusione di colpi e di guerre, non sono mai state neglette. Per secoli era una corsa una contro l’altra, e a ben vedere a beneficio poi di tutti. La crepa identitaria è iniziata dapprima con la loro separazione netta, e poi con i reciproci tentativi di dominio o di annientamento di una sull’altra, e viceversa. I tempi moderni hanno poi visto l’imporsi di un illuminismo ateo, in cui l’uomo è diventato strumento, fine e misura di tutte le cose. In questo procedere si è dapprima marginalizzata la fede, poi la si è liquidata come un elemento di disturbo o di superstizione, scoprendo poi ai giorni nostri che avendo fatto fuori la fede si è iniziato a far fuori anche la ragione. Significa che l’occidente e l’Europa in particolare ha chiuso prima uno e poi sta chiudendo l’altro rubinetto che alimentavano la nostra vera e imponente identità. Con il definitivo affermarsi del “Dio è morto” (Nietszche) o della più tollerante mentalità comune del “se Dio c’è non c’entra”; ci siamo tagliati una radice fondamentale che portava linfa vitale al nostro sistema identitario. Messa in disuso la fede, la conseguenza è ormai visibile a tutti: va in crisi anche la ragione, non avendo più un avversario all’altezza per concorrenziarla. Se la fede ci obbligava a ragionare costantemente, forse anche esageratamente, attorno a concetti religiosi pratici quali “bene e male”; per simmetria la ragione orfana della concorrenza di fede va in crisi; significa l’incapacità per lei di ragionare attorno a concetti laici fondamentali quali “giusto e sbagliato”. Se la ragione rinuncia a ritenere e a dimostrare continuamente che ci sono dei “giusti” e degli “sbagliati” assoluti, accontentandosi di un relativismo accondiscendente e di un opinionismo a maggioranza, presto al nostro sistema identitario mancherà definitivamente la linfa vitale e impazzirà. Un esempio banale basta per rendere l’idea di ragione impazzita che rinuncia alla ricerca del “giusto” arrendendosi al relativismo. Sappiamo tutti che 3 + 2 fanno 5; se ora una forte maggioranza dice che fa 8 e una minoranza dice che fa 6, per appacificare tutti potrebbe darsi che qualcuno sancirà che 3 + 2 fanno ormai  7. Il premio nobel per la letteratura Gilbert K. Chesterton in “Eretici” a proposito della ragione in spegnimento e soccombente all’opinionismo, scrisse che : “un giorno sguaineremo le spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. Questo è ciò che accade, nemmeno tanto lentamente, quando la ragione diventa debole e rinunciataria. Simmetricamente, nel campo della fede già vale ciò che Dostoevskij si chiedeva ne “I fratelli Karamazov” : “se Dionon esiste, tutto è permesso” e (..) “se tutto è permesso dunquetutto è lecito?”

Le nostre radici sono l’incontro di tre pensieri precristiani di Gerusalemme, Atene e Roma; dall’incontro tra fede nel Dio d’Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Il cristianesimo con  la parte buona dell’illuminismo hanno permesso di amalgamare e miscelare in modo eccellente questi ingredienti tanto da creare una civiltà, la nostra, ricca materialmente e umanamente senza pari, senza precedenti, invidiabile e inimitabile. Il nostro DNA è questo e la nostra secolare identità ne è la prova, seppur ferita e martoriata. Una  identità che per noi svizzeri nasce molto presto nel 1291 con il Patto del Grütli: “nel nome del Signore così sia. È opera onorevole ed utile confermare, nelle debite forme, i patti della sicurezza e della pace. Sia noto dunque a tutti, che gli uomini della valle di Uri, la comunità della valle di Svitto e quella degli uomini in Untervaldo, considerando la malizia dei tempi ed allo scopo di meglio difendere e integralmente conservare sé ed i loro beni, hanno fatto leale promessa di prestarsi reciproco aiuto, consiglio e appoggio, a salvaguardia così delle persone come delle cose, dentro le loro valli e fuori, con tutti i mezzi in loro potere, con tutte le loro forze, contro tutti coloro e contro ciascuno di coloro che ad essi o ad uno d'essi facesse violenza, molestia od ingiuria con il proposito di nuocere alle persone od alle cose. Ciascuna delle comunità promette di accorrere in aiuto dell'altra, ogni volta che sia necessario, e di respingere, a proprie spese, secondo le circostanze, le aggressioni ostili e di vendicare le ingiurie sofferte (...)”. Per altri, la consapevolezza identitaria ha permesso di scrivere nero su bianco nella dichiarazione di indipendenza americana del 1776, la miglior sintesi di ciò che siamo e vogliamo essere: “Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per sé stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della felicità”. Una identità che alcuni anni dopo, 1789, si affina in Francia dando nascita alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, per poi esplicitarsi definitivamente ai giorni nostri nel 1948, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Se non ricuperiamo l’unione di fede e ragione (da non confondere con la geniale e necessaria separazione tra Stato e Chiesa) come motori di ricerca e propulsori di questa identità, siamo destinati a scomparire. Non ci sarà un mondo senza identità, ma un mondo in cui le identità più forti stanno sottomettendo gli altri. Il premio nobel per l’economia Friedrich von Hayek nel discorso alla Mont Pélerin society nel 1947 disse : «Sono convinto che, se la frattura fra il vero liberalismo e le convinzioni religiose non sarà sanata, non ci sarà alcuna speranza per la rinascita delle forze liberali». Un altro grande del pensiero liberale laico, Benedetto Croce, per ricordarci chi eravamo coniò la famosa espressione: “non possiamo non dirci cristiani”; oggi dovrebbe con rammarico probabilmente attualizzarla con un’aggiunta: “non possiamo non dirci cristiani e cartesiani !”. Nel 1998 Papa Wojtyla aveva  già posto il tema al centro di una sua Enciclica dandole addirittura il titolo “Fides et Ratio”. Soffriamo tutti, uguale se in Europa, in Svizzera, in Ticino dello stesso male e siamo addolorati per la nostra impotenza e lo smarrimento generale, nessun confine di stato può trattenere questi sentimenti; la globalizzazione ha globalizzato anche questo. Resisteremo e sconfiggeremo le nuove barbarie, affronteremo con successo le nuove grandi sfide; se riusciremo ad armare la nostra identità con lo scudo della fede in una mano e la lancia della ragione nell’altra. Soltanto lavorando alacremente per modellare un neo illuminismo che leghi fede e ragione, potremo vincere le tenebre incombenti del vivere da “homo homini lupus” già intuito nel 1651 da Thomas Hobbes e evitare il Leviatano.

Il Natale della Patria imporrebbe di parlare primariamente  solo di noi, eventualmente di noi e gli altri. Gli accadimenti e le emergenze in atto ci impongono però una riflessione più larga dei nostri confini e più profonda per le nostre coscienze, nemmeno noi svizzeri non possiamo più bastare solo a noi stessi; e la nostra identità non basterà se anche gli altri non riscopriranno con noi, le radici identitarie della nostra civiltà. Mai come oggi le parole del nostro santo patrono nazionale, san Nicolao della Flüe potrebbero essere tanto attuali: impedire la guerra ad ogni costo, negoziare fino allo stremo per evitarla, e mai allargare troppo i patrii confini. Ma questo è attuabile solo se si sa chi si è e cosa si vuole.

La grandezza della Svizzera è quella di essere riuscita a far convivere da molti secoli le evidenti diversità razziali e culturali, ma anche di aver integrato  elementi arcaici e naturali quali popolo, identità e patria con elementi giuridici e artificiali  quali  cittadini, leggi e stato.

Per concludere, si può lasciare tutto al caso o alla provvidenza senza intraprendere nulla. Oppure se la politica ha ancora uno scopo e un senso non può sottrarsi al compito di ricuperare e rilanciare la nostra identità quale forse unico elemento dal quale discendono poi tutte le altre scelte politiche. Se non sappiamo (più) chi siamo come possiamo sapere cosa vogliamo o non vogliamo?

In scala ticinese, mi permetto di indicare delle misure politiche prioritarie e concrete che ci lancino su questa via. Ne vedo due: una di cortissimo termine, la protezione dei cittadini e una di medio termine, l’educazione. Protezione: significa creare una politica estera proattiva e robusta, rafforzare la sicurezza interna, creare maggiori opportunità di lavoro per i residenti in Ticino. Educazione: non posso che indicare la “Scuola che verrà”. Un dossier decisivo che non può rimanere senza correzioni importanti. Dalla strada educativa che sceglieremo, e da quali pietre miliari poseremo per le prossime generazioni, dipenderà la nostra identità quindi il nostro benessere, la nostra prosperità, la nostra libertà. Ma non solo educazione scolastica, occorre in forme nuove e creative promuovere e moltiplicare le iniziative e le occasioni di confronto tra adulti volte a farci scoprire “chi siamo” e a farci desiderare “chi vogliamo essere”.

Con le parole di S. Francesco d’Assisi direi: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.”

Auguro di cuore a tutte e a tutti un eccellente 1. d’agosto ! Viva la Svizzera.

*Presidente e deputato di AreaLiberale
Pubblicato il 31.07.2016 19:10<